domenica 10 febbraio 2013

L'omelia del Vescovo per la Giornata del Malato

Omelia di Mons. Alceste Catella
Vescovo di Casale Monferrato (AL)
per la Giornata Mondiale del Malato
Chiesa dell’Ospedale Santo Spirito – 10 febbraio 2013



Carissimi,

il significato ultimo e profondo della parabola del "Samaritano" è l’annuncio del fatto che Gesù si fa vicino e sensibile all’uomo e lo raggiunge nella sua concreta situazione; è vicino, dunque, ai malati e alle loro famiglie nei momenti della prova e indica la via di una solidarietà effettiva con le loro sofferenze: egli è sempre l’autore della vita e la fonte di ogni guarigione.

La fede in Gesù, pur non togliendo il dolore e la drammaticità della situazione, può dare sollievo nello spirito e forza morale per affrontare ogni situazione con coraggio e speranza certa di poter trarre anche da quel male un bene per se stessi, per i propri cari e la propria famiglia. Quando la malattia prende nell’intimo del cuore e tocca il corpo, sorgono domande fondamentali: sul perché del dolore e della sofferenza, sul come superarli, su quali speranze fondare la guarigione. La debolezza, la fragilità e l’indigenza di chi si sente, a volte gradualmente, a volte quasi all’improvviso, bisognoso di tutto e di tutti, alla mercé di una situazione che sembrava lontana e comunque rifiutata, suscita alla fine l’interrogativo più radicale sul senso della vita e della morte. La sofferenza svela chi siamo e quale è, in fondo, il fine di tutta la nostra vita, come il dolore e la morte di Cristo in croce svelano chi egli veramente è e quale è stato il fine per cui ha vissuto, amato e donato se stesso con amore. Alla luce di Cristo dunque anche la sofferenza e la stessa morte acquistano un significato nuovo e ricco di speranza. Queste realtà tragicamente negative si illuminano di un calore umano e spirituale profondo e possono essere vissute con la più grande serenità e abbandono fiducioso in Dio. L’esperienza della malattia può diventare allora occasione di un avvicinamento più autentico a Dio e al prossimo, come anche di apertura alla preghiera.

Il confronto con il malato spazza via tutta quella vita irreale e virtuale che si rovescia sulla gente attraverso i massmedia e pone di fronte alla vera vita, quella che, prima o poi, tocca ogni persona di questo mondo e investe valori profondissimi di umanità, di spiritualità, di amore. Allora il malato, da persona che deve ricevere, diventa persona che può dare, e tanto, per chiunque sa ascoltarlo, accompagnarlo sulla via del dolore e della speranza. È una sfida che non può e non deve restare chiusa nel cuore del malato e dei suoi parenti, degli operatori sanitari e volontari, dentro le case o gli ospedali e case di accoglienza. Sono la comunità intera e la società che devono lasciarsi interrogare e stimolare dall’esperienza del malato sotto diversi aspetti.

Può un sistema sanitario tenere conto di tutto questo e aiutare le persone a ricuperare se stessi non solo sul piano della salute fisica, ma anche umana, relazionale e spirituale? La risposta è negativa se tutto viene considerato sotto il profilo dell’efficienza produttiva propria di un’azienda, per cui la salute è un prodotto, il malato un cliente, l’operatore un dipendente.

La risposta è positiva se si riafferma la centralità delle persone, del malato, di ogni operatore sanitario e si imposta anche l’aspetto economico e gestionale a partire da questo "cuore". Di conseguenza, la dignità e la promozione di ogni singola persona e la creazione di ambienti ricchi di umanità sono perseguiti come obiettivi primari. E quando c’è posto per l’uomo, c’è posto anche per Dio, perché "la sua gloria è l’uomo vivente" (S. Ireneo).

Come buoni samaritani, medici, infermieri, parenti e volontari, comunità, sono chiamati a intessere una rete che attua i cinque verbi della comunione e solidarietà ricordati da Gesù, nella parabola (Luca 10, 29-37). 2
"Compatire insieme"
: parole consolatorie o invito alla rassegnazione non servono: occorre con-soffrire insieme, partecipare alla condizione del malato. Di questo egli sente la necessità e comprende quando chi lo avvicina lo fa con sentimenti sinceri e profondi di condivisione.

"Farsi vicino": non aver paura di toccare il malato e di instaurare un rapporto sanante, fatto di gesti, di dialogo sereno e coinvolgente, di prossimità ricca di sguardi, amorevolezza, sintonia di cuori che si incontrano.

Fasciare le "ferite": promuovere un servizio efficace e competente, sempre pronto a rispondere ai bisogni che la malattia comporta, quelli fisici e quelli morali e spirituali, perché anche queste ferite sono parte integrante della malattia.

Prendersi cura: senza fretta e con continuità. L’esigenza di limitare al massimo i costi della sanità non deve andare a discapito del tempo che occorre per sanare e curare nel modo migliore. Lo stesso va detto per le visite ai malati nelle case da parte dei sacerdoti e ministri ausiliari dell’Eucaristia: il tempo dedicato a questi incontri è tanto più produttivo di grazia quanto è più attento alle esigenze di ascolto e di compagnia di cui il malato necessita.
Pagare un prezzo "oltre" il dovuto: le risorse umane e finanziarie nel campo della sanità e della cura della salute appaiono sempre molto alte e per questo si tende a ridurle, ottimizzando meglio i servizi e le prestazioni. Combattere lo spreco e lo sciupìo di risorse, a volte orientate su binari morti rispetto alle vere esigenze del malato e del personale sanitario, è un dovere primario di ogni dirigenza e persona responsabile. Altra cosa è invece mettere al primo posto la questione del bilancio da far quadrare ad ogni costo, a scapito di un servizio di qualità e di attenta cura di ogni singola persona. Scaricare sulle famiglie un prezzo alto e a volte insostenibile, non è giusto. I costi sociali della cura della malattia vanno considerati priorità che non possono essere disattese ed esigono, da parte di tutta la collettività, un rilevante e adeguato investimento di risorse e di sacrificio, se necessario.

Va’ e anche tu fa lo stesso: l’invito, con cui Gesù termina la parabola del buon samaritano, risuoni nel cuore nell’impegno di ogni operatore sanitario e di ogni comunità cristiana e civile. Le parrocchie in particolare considerino la cura dei malati come via privilegiata di evangelizzazione anche delle famiglie e suscitino in tutti quella necessaria attenzione e disponibilità a farsi carico della loro condizione di vita.

Chiedo ai giovani di guardarsi attorno e scoprire tanti loro coetanei, che vivono in casa perché impediti da malattie e disabilità, tanti anziani ricoverati in strutture di accoglienza, loro nonni o parenti, soggetti a malattie gravi. Un mondo di sofferenza che sta vicino a loro e li interpella ogni giorno. La visita, la prossimità, la solidarietà sono esperienze educative e significative per riscoprire il senso della propria vita, il limite e le difficoltà con cui prima o poi bisogna fare i conti, la gioia del donare amore, la responsabilità sociale. Gettare ponti di amicizia, portare un po’ di gioia nel cuore di chi soffre, condividere il proprio tempo, ascoltare e pregare con i malati, dona conforto anche alle loro famiglie e offre una testimonianza di fede e di amore a Cristo presente in chi soffre. Frequentando le persone sofferenti si impara ad ascoltare di più anche se stessi e gli altri, a incoraggiare, a compiere anche i servizi più umili, per aiutare a non sfuggire alla realtà quotidiana ricercando luoghi o esperienze fuorvianti che alla fine lasciano vuoto il cuore e la vita.

Solo l’amore donato e condiviso riempie la vita e infonde speranza e gioia al cuore.

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