Omelia di Mons. Alceste Catella
Vescovo di Casale Monferrato (AL)
per la Giornata Mondiale del Malato
Chiesa dell’Ospedale Santo Spirito – 10 febbraio 2013
Carissimi,
il significato ultimo e profondo della parabola del "Samaritano" è l’annuncio del fatto che Gesù si fa vicino e sensibile all’uomo e lo raggiunge nella sua concreta situazione; è vicino, dunque, ai malati e alle loro famiglie nei momenti della prova e indica la via di una solidarietà effettiva con le loro sofferenze: egli è sempre l’autore della vita e la fonte di ogni guarigione.
La fede in Gesù, pur non togliendo il dolore e la drammaticità della situazione, può dare sollievo nello spirito e forza morale per affrontare ogni situazione con coraggio e speranza certa di poter trarre anche da quel male un bene per se stessi, per i propri cari e la propria famiglia. Quando la malattia prende nell’intimo del cuore e tocca il corpo, sorgono domande fondamentali: sul perché del dolore e della sofferenza, sul come superarli, su quali speranze fondare la guarigione. La debolezza, la fragilità e l’indigenza di chi si sente, a volte gradualmente, a volte quasi all’improvviso, bisognoso di tutto e di tutti, alla mercé di una situazione che sembrava lontana e comunque rifiutata, suscita alla fine l’interrogativo più radicale sul senso della vita e della morte. La sofferenza svela chi siamo e quale è, in fondo, il fine di tutta la nostra vita, come il dolore e la morte di Cristo in croce svelano chi egli veramente è e quale è stato il fine per cui ha vissuto, amato e donato se stesso con amore. Alla luce di Cristo dunque anche la sofferenza e la stessa morte acquistano un significato nuovo e ricco di speranza. Queste realtà tragicamente negative si illuminano di un calore umano e spirituale profondo e possono essere vissute con la più grande serenità e abbandono fiducioso in Dio. L’esperienza della malattia può diventare allora occasione di un avvicinamento più autentico a Dio e al prossimo, come anche di apertura alla preghiera.
Il confronto con il malato spazza via tutta quella vita irreale e virtuale che si rovescia sulla gente attraverso i massmedia e pone di fronte alla vera vita, quella che, prima o poi, tocca ogni persona di questo mondo e investe valori profondissimi di umanità, di spiritualità, di amore. Allora il malato, da persona che deve ricevere, diventa persona che può dare, e tanto, per chiunque sa ascoltarlo, accompagnarlo sulla via del dolore e della speranza. È una sfida che non può e non deve restare chiusa nel cuore del malato e dei suoi parenti, degli operatori sanitari e volontari, dentro le case o gli ospedali e case di accoglienza. Sono la comunità intera e la società che devono lasciarsi interrogare e stimolare dall’esperienza del malato sotto diversi aspetti.
Può un sistema sanitario tenere conto di tutto questo e aiutare le persone a ricuperare se stessi non solo sul piano della salute fisica, ma anche umana, relazionale e spirituale? La risposta è negativa se tutto viene considerato sotto il profilo dell’efficienza produttiva propria di un’azienda, per cui la salute è un prodotto, il malato un cliente, l’operatore un dipendente.
La risposta è positiva se si riafferma la centralità delle persone, del malato, di ogni operatore sanitario e si imposta anche l’aspetto economico e gestionale a partire da questo "cuore". Di conseguenza, la dignità e la promozione di ogni singola persona e la creazione di ambienti ricchi di umanità sono perseguiti come obiettivi primari. E quando c’è posto per l’uomo, c’è posto anche per Dio, perché "la sua gloria è l’uomo vivente" (S. Ireneo).
Come buoni samaritani, medici, infermieri, parenti e volontari, comunità, sono chiamati a intessere una rete che attua i cinque verbi della comunione e solidarietà ricordati da Gesù, nella parabola (Luca 10, 29-37). 2
"Compatire insieme"
: parole consolatorie o invito alla rassegnazione non servono: occorre con-soffrire insieme, partecipare alla condizione del malato. Di questo egli sente la necessità e comprende quando chi lo avvicina lo fa con sentimenti sinceri e profondi di condivisione.
"Farsi vicino": non aver paura di toccare il malato e di instaurare un rapporto sanante, fatto di gesti, di dialogo sereno e coinvolgente, di prossimità ricca di sguardi, amorevolezza, sintonia di cuori che si incontrano.
Fasciare le "ferite": promuovere un servizio efficace e competente, sempre pronto a rispondere ai bisogni che la malattia comporta, quelli fisici e quelli morali e spirituali, perché anche queste ferite sono parte integrante della malattia.
Prendersi cura: senza fretta e con continuità. L’esigenza di limitare al massimo i costi della sanità non deve andare a discapito del tempo che occorre per sanare e curare nel modo migliore. Lo stesso va detto per le visite ai malati nelle case da parte dei sacerdoti e ministri ausiliari dell’Eucaristia: il tempo dedicato a questi incontri è tanto più produttivo di grazia quanto è più attento alle esigenze di ascolto e di compagnia di cui il malato necessita.
Pagare un prezzo "oltre" il dovuto: le risorse umane e finanziarie nel campo della sanità e della cura della salute appaiono sempre molto alte e per questo si tende a ridurle, ottimizzando meglio i servizi e le prestazioni. Combattere lo spreco e lo sciupìo di risorse, a volte orientate su binari morti rispetto alle vere esigenze del malato e del personale sanitario, è un dovere primario di ogni dirigenza e persona responsabile. Altra cosa è invece mettere al primo posto la questione del bilancio da far quadrare ad ogni costo, a scapito di un servizio di qualità e di attenta cura di ogni singola persona. Scaricare sulle famiglie un prezzo alto e a volte insostenibile, non è giusto. I costi sociali della cura della malattia vanno considerati priorità che non possono essere disattese ed esigono, da parte di tutta la collettività, un rilevante e adeguato investimento di risorse e di sacrificio, se necessario.
Va’ e anche tu fa lo stesso: l’invito, con cui Gesù termina la parabola del buon samaritano, risuoni nel cuore nell’impegno di ogni operatore sanitario e di ogni comunità cristiana e civile. Le parrocchie in particolare considerino la cura dei malati come via privilegiata di evangelizzazione anche delle famiglie e suscitino in tutti quella necessaria attenzione e disponibilità a farsi carico della loro condizione di vita.
Chiedo ai giovani di guardarsi attorno e scoprire tanti loro coetanei, che vivono in casa perché impediti da malattie e disabilità, tanti anziani ricoverati in strutture di accoglienza, loro nonni o parenti, soggetti a malattie gravi. Un mondo di sofferenza che sta vicino a loro e li interpella ogni giorno. La visita, la prossimità, la solidarietà sono esperienze educative e significative per riscoprire il senso della propria vita, il limite e le difficoltà con cui prima o poi bisogna fare i conti, la gioia del donare amore, la responsabilità sociale. Gettare ponti di amicizia, portare un po’ di gioia nel cuore di chi soffre, condividere il proprio tempo, ascoltare e pregare con i malati, dona conforto anche alle loro famiglie e offre una testimonianza di fede e di amore a Cristo presente in chi soffre. Frequentando le persone sofferenti si impara ad ascoltare di più anche se stessi e gli altri, a incoraggiare, a compiere anche i servizi più umili, per aiutare a non sfuggire alla realtà quotidiana ricercando luoghi o esperienze fuorvianti che alla fine lasciano vuoto il cuore e la vita.
Solo l’amore donato e condiviso riempie la vita e infonde speranza e gioia al cuore.
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