lunedì 8 marzo 2010

il fiore reciso

Quella mattina stavo leggendo un libro di Sergio Quinzio: “Domande sulla santità” che parlava di santi noti come don Bosco, Cafasso, Cottolengo e mi aveva colpito una frase che recitava così: «la santità ha come chiave la croce». Vidi quella croce sul Golgota, pensai a chi vive nelle terre povere dell’Africa, dell’India, del Bangladesh, dell’America latina. Pensai ai bambini lavoratori e militari, a bambine vendute sulle strade, a malati che hanno pesanti croci da portare…

Quello stesso giorno, avevo incontrato Luciano e Rossana, che mi avevano parlato di quel loro figlio, Stefano, che a diciannove anni li aveva lasciati in un dolore senza fine. Loro avevano un progetto: quello di ricordare quel figlio, con qualcosa che rimanesse nel tempo; perché fosse anche esempio per altri. Ripensai a quella croce che aveva pesato sulle spalle di un ragazzo così giovane. Lo ricordai in una rubrica di Famiglia Cristiana “l’angolo della speranza” il 5 luglio del 2009. Qualcuno mi lesse, mi cercò anche da lontano. A questo punto dovevo conoscere meglio Stefano, di cui avevo parlato in due riprese in quel mese di maggio dedicato a Maria, nel 2005. Dapprima parlando di un ragazzo strappato alla vita, poi parlando di quel funerale, con la concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Zaccheo, con altri venti presbiteri e cinque frati cappuccini che allora governavano la parrocchia di Porta Milano. Avevo visto quella bara con quei fiori bianchi e gialli ed avevo pensato ad un altare. A distanza di anni pensavo a quella pesante croce che era sulle spalle di Stefano. Quel fiore reciso troppo presto era stato un esempio per i giovani, una luce in mezzo al buio. E allora ecco l’impegno di conoscerlo e di raccontare un po’ della sua storia.

^^

Stefano Bellan nasce il 17 gennaio 1986, ama il calcio, ha tanti amici, frequenta l’oratorio, ha una ricca spiritualità che lo avvicina a Dio. Suona il pianoforte e l’organo nella sua chiesa parrocchiale, anima le funzioni, è pieno di vita, finché un giorno, un brutto giorno del 2004… “Mamma ho un dolore all’inguine”. Si pensa e si spera in una cisti e invece è un tumore maligno della peggior specie che non lascia speranze di vita. Inizia la salita al calvario, il suo Golgota, sotto il peso di una croce pesantissima da portare, che lo accompagnerà fino al 10 maggio del 2005, quando appena tornato da Lourdes, dopo essersi purificato nelle piscine che sono addossate alla Grotta di Massabielle, Stefano nascerà per il Paradiso, concludendo la sua breve vita terrena.

Incontro più volte Rossana e Luciano, mi parlano di Stefano, mi consegnano documenti, fotografie, videocassette, i suoi e i loro scritti, le tantissime testimonianze di Michele, Mattia, Elia, Alberto, Elisa, Valentina, Petra, Marta, Marco, Andrea, Giulia, Sabrina, Iris, Salvina, Emi, Anna, Paola, Cristina, Fabio, Luca, Alice, Antonella, Valeria, Stefano, Diletta, Chiara, Alida, Micol, Mirco, Damiano il fratello maggiore, del suo barelliere Mauro Ganora, dei preti Branjo e Oscar. Soprattutto frate Oscar Comba, oggi parroco a Rosignano e San Giorgio. Per tutti Stefano è l’angelo custode. Ecco allora tornarmi in mente la santità. Tutti vorremmo essere santi. Perché santi non sono solo quelli del calendario, ma chi ci è giornalmente al nostro fianco, alla mamma, al povero, al più piccolo, che sa vivere nella luce del Cristo e dell’onestà, soffrendo anche, pagando di persona, condividendo con gli altri. E’ questo l’uomo o la donna della fede, della speranza, della carità. Io credo e non suoni bestemmia, che il Paradiso sia pieno di persone sante, trabocchi di gente buona come Stefano, mentre l’inferno sia quasi disabitato. Stefano è stato esempio per tutti noi, perché ha vissuto nella fede e nella sofferenza che qualche teologo mette spesso insieme, offrendo tutto al suo Gesù. Credendo sempre in lui e sentendolo sempre vicino. Stefano e ne parlo al passato, quando invece dovrei parlarne al presente, perché lui è qui, vivo tra noi; era buono con tutti, altruista, capace di grandi sogni come quello ipotizzato e non realizzato, di essere un uomo di Dio, un uomo al servizio di altri uomini, un uomo col saio o con la tonaca. Era animato da una fede incrollabile tanto da fargli dire: «Sto morendo, ma sono nelle mani di Gesù». Don Oscar Comba, di lui ha detto: “Ho conosciuto Stefano quando aveva dieci anni e quando tu o Signore lo hai inviato al nostro oratorio, mi sono subito accorto di avere di fronte, un angelo del tuo paradiso”. Ecco allora l’angelo custode, il fiore reciso di Porta Milano, il giovane che ci è esempio, che a Lourdes, appena uscito da quella piscina, pochi giorni prima di morire, dirà al papà Luciano, una frase che diventa smisuratamente grande ai nostri occhi e al nostro essere piccoli: “Ora sono pronto, sono purificato, in me c’è tanta sofferenza eppure tanta gioia. Sì la salute è molto importante, ma per me, prima c’è Dio”.

Stefano, per molti Ste, ha lasciato una sofferenza grande nei suoi familiari, ma non deve mancare la certezza che lui continua ad essere sempre con loro e tra noi. Lui era fatto per il paradiso.

Gigi Busto

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